Curata da Anne Morin in collaborazione con Alberto Rossetti, la mostra Il ritratto e il suo doppio di Vivian Maier, in esposizione fino al 3 Novembre presso Villa Mussolini a Riccione, è un’esplorazione del rapporto di questa grande fotografa con la sua immagine. I continui giochi di ombre e riflessi mostrano la presenza-assenza dell’artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione con il mondo circostante. Sullo sfondo le strade di New York e di Chicago, dove la Maier ritrae con grande maestria la vita quotidiana e le persone che ha incontrato lungo le strade delle città.
In tutto il lavoro della Maier, ci sono temi ricorrenti, ma emerge una evidente predilezione per gli autoritratti. Lei stessa infatti appare in molti suoi scatti, con una moltitudine di forme e variazioni, a tal punto da configurare una sorta di linguaggio all’interno del suo linguaggio. La mostra fotografica Il ritratto e il suo doppio esplora proprio il tema dell’autoritratto a partire dai suoi primi lavori fino alla fine del Novecento. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle tre sezioni della mostra: Ombra, Riflesso e Specchio.
Nella prima Vivian Maier adottò questa tecnica utilizzando la proiezione della propria silhouette. Si tratta probabilmente della più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale da lei utilizzate. L’ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea. È il primo livello di una autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta.
Nella seconda sezione l’artista, attraverso il riflesso, riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo alla fotografia, con l’idea di auto-rappresentazione. La Maier impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé stessa al limite tra il visibile e l’invisibile, il riconoscibile e l’irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi. Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l’immagine viene catturata. Ogni fotografia appare di per sé come un atto di resistenza alla sua invisibilità.
La terza e ultima sezione della mostra è dedicata allo specchio, un oggetto che appare spesso nelle fotografie dalla Maier. L’immagine è spesso rifratta da diversi specchi in modo tale che il suo viso sia riflesso più volte, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l’artista affronta il proprio sguardo. Ma a differenza di Narciso, che si distrusse nella contemplazione e nell’ammirazione della propria immagine, l’interesse della fotografa per il ritratto di sé è piuttosto una disperata ricerca della sua identità. Con la sua macchina fotografica la Maier raccoglieva prove irrefutabili della sua esistenza, in fuga dall’invisibilità: ogni autoritratto è una affermazione della sua presenza in quel luogo e in quel momento particolare.
Vivian Dorothy Maier (New York 1926 – Chicago 2009)
È stata una fotografa statunitense, esponente di spicco della street photography, della cui attività artistica si sapeva ben poco fino a pochi anni prima della sua scomparsa. La vita di Vivian Maier è stata ricostruita in particolare da John Maloof che, dopo aver recuperato un considerevole corpus della sua produzione, ha cercato testimonianze sulla sua vita, specialmente tra le famiglie presso le quali ha vissuto, lavorando come tata. La vasta quantità della sua opera è stata scoperta nel 2007, grazie alla tenacia di John Maloof, giovane figlio di un rigattiere. Nel 2007 il ragazzo, volendo fare una ricerca sulla città di Chicago e avendo poco materiale iconografico a disposizione, decise di comprare in blocco per 380 dollari, ad un’asta, il contenuto di un box zeppo degli oggetti più disparati, espropriati per legge a una donna che aveva smesso di pagare i canoni di affitto. Mettendo ordine tra le varie cianfrusaglie (cappelli, vestiti, scontrini e perfino assegni di rimborso delle tasse mai riscossi), Maloof reperì una cassa contenente centinaia di negativi e rullini ancora da sviluppare. Dopo aver stampato alcune foto, Maloof le pubblicò su Flickr , ottenendo un interesse entusiastico e virale e l’incoraggiamento della community ad approfondire la sua ricerca. Pertanto fece delle indagini sulla donna che aveva scattato quelle fotografie: venne a sapere che Vivian non aveva famiglia e aveva lavorato per tutta la vita come bambinaia soprattutto nella città di Chicago; durante le giornate libere e i periodi di vacanza era solita scattare foto della vita quotidiana. La maggior parte delle sue foto sono immagini di street ante litteram e dunque la Maier può essere considerata una antesignana di questo genere fotografico. Inoltre, Maier scattò molti autoritratti, caratterizzati dal fatto che non guardava mai direttamente verso l’obiettivo, utilizzando spesso specchi o vetrine di negozi come superfici riflettenti. La sua storia è stata paragonata a quella della poetessa statunitense, che scrisse le sue riflessioni e le sue poesie senza mai pubblicarle e, anzi, a volte, nascondendole in posti impensati, dove furono ritrovate solamente dopo la sua morte. Dal momento della sua scoperta, Maloof ha svolto una grande attività di divulgazione della sua opera fotografica, organizzando mostre itineranti in tutto il mondo.