Fino al 16 Febbraio 2025, presso Palazzo Pallavicini a Bologna, sarà possibile visitare la retrospettiva di Tina Modotti.
Indipendente, libera, moderna, Tina Modotti coniugò l’amore per l’arte e l’ardore politico, che ne guidò le scelte e gli interventi da militante, con il desiderio di contribuire alla creazione di un mondo migliore. In dialogo continuo con artisti e intellettuali durante l’evolversi dei suoi periodi espressivi, la Modotti sviluppò un linguaggio fotografico dal tono intimistico, capace di indagare le contraddizioni della realtà. La totalità degli scatti esposti in mostra svela, fin da principio, un nuovo modo di osservare la realtà, partecipe della fuggevolezza dei suoi istanti: il percorso articolato lungo le sale desidera invitare l’osservatore al dialogo con la propria personale concezione del tempo, talvolta immobile e attonito, spesso fugace e inafferrabile.
Quel che emerge con forza è una “Tina felice e libera (felice perché è libera)”, come scrive lei stessa a Weston nell’aprile del 1925: una donna dall’intelletto vivace e dalla sorprendente capacità di introspezione, la cui natura poliedrica appare capace di orientarne le scelte.
Articolato in sei sezioni, il percorso espositivo si propone di mostrare al pubblico le infinite sfaccettature di una fotografa abile nel tralasciare l’estetica per dedicarsi all’etica, sviluppando un codice visivo eloquente e personale, delineatosi ed evolutosi in un tempo brevissimo, pur tuttavia capace di lasciare traccia indelebile nel patrimonio storico e fotografico della prima metà del secolo scorso. Il continuo dialogo con le fotografie di Edward Weston, riverbero di un fitto scambio epistolare intercorso tra i due artisti, narra l’ossessione di Tina per la qualità fotografica e la sua volontà, reiterata in una dichiarazione del 1929, di registrare “con obiettività la vita in tutti i suoi aspetti”.
Numerose le fotografie biografiche, intrise di potenza narrativa, tra le quali si affacciano i volti di alcune personalità note dell’epoca e della dimensione artistica in cui la Modotti immerse la sua anima e seppe trovare la sua ispirazione: il fotografo e suo mentore Edward Weston, gli artisti Diego Rivera e Frida Kahlo, l’attrice Dolores del Rio, il giornalista rivoluzionario Julio Antonio Mella, il politico Vittorio Vidali.
Nell’ottica di un appassionato e sincero attivismo, Tina utilizzò il mezzo fotografico come estensione del proprio occhio, strumento di indagine e denuncia sociale, con una coerenza espressiva capace di travalicare l’arte per consegnarla in dono alla vita, quella vita che, a suo stesso dire, lottava “continuamente per predominare l’arte”. Una vera e propria metamorfosi della vita in arte, che trova la sua trasposizione fotografica nelle celebri calle e nelle delicate geometrie esposte, che Tina tenta di convertire in astrazione per poterle conservare nella memoria, tralasciando gli elementi superflui per giungere, con fervore, al nucleo del sentimento.
L’intensità della passione che guida la mano e l’occhio di Tina si ritrova tra i visi e le mani del popolo messicano protagonisti di un’intera sezione, testimone di una volontà di cambiamento e di una necessaria presa di coscienza, che nella sua visione assurgono a icone della possibilità di riscatto sociale. Vita, arte e rivoluzione: queste le parole chiave delle fotografie che colgono i simboli della lotta di classe, i lavoratori, le donne del popolo, gli assembramenti, i dettagli. Intense le istantanee delle donne di Tehuantepec che, camminando “velocemente per natura”, raccontano la volontà di Tina di ricercare in una società antica una nuova verità e un senso poetico che divengano per lei inesauribile linfa creativa; austeri, in tal senso, gli sguardi dei bambini, che sembrano penetrare l’obiettivo nel tentativo di raggiungere l’anima di chi scatta.
A chiudere la mostra, infine, una selezione di ritratti di Tina, tra cui alcuni di quelli da lei definiti immortali,realizzati da Edward Weston. Nell’osservarli, sembra udirsi l’eco delle parole di Federico Marin, che la descrisse come “una bellezza misteriosa, priva di volgarità, ma non allegra, bensì austera, terribilmente austera. Non malinconica, né tragica”. Fascino e mistero restano tuttora intatti, poiché le parole scritte nelle lettere, il suo peculiare sguardo, l’ardita sperimentazione, collocano Tina Modotti tra i più grandi interpreti della realtà della condizione umana, colta nelle sue infinite sfaccettature. La natura immersiva dei suoi scatti, derivante da un’innata empatia verso i soggetti, si fa voce capace di narrare a chi guarda l’infinita varietà del mondo e, contemporaneamente, la sua universalità.
Tina Modotti (Udine 1896 – Città del Messico 1942)
È stata una fotografa, un’attivista e un’attrice italiana. Emigrata con la famiglia prima in Austria e poi in America. Approdata a Hollywood poco più che ventenne. Recita in alcuni film muti e si appassiona di fotografia, grazie anche all’incontro con il fotografo Edward Weston.
Tessere relazioni è un aspetto ricorrente della vita della fotografa, che tra Messico e Stati Uniti incontra Diego Rivera, Frida Kahlo, Dorothea Lange e Roubaix de l’Abrie Richey (Robo), pittore e poeta e suo futuro marito: la sua scomparsa e quella del padre nel 1922 segnano fortemente la sua carriera. Partirà per il Messico con Weston per approfondire la conoscenza della fotografia. In questo paese la Modotti affina tecnica e stile, realizzando “fotografie oneste”, libere da virtuosismi, prediligendo l’immediatezza senza rinunciare alla sperimentazione. Nel corso della sua carriera, Tina abbandona lo studio delle nature morte focalizzandosi sempre più sull’essere umano, creando una forma inedita di documentazione sociale-antropologica accompagnata da forti rimandi politici, come gli scatti dedicati alla fiera bellezza delle donne di Tehuantepec (Messico) del 1929, carichi di un intenso messaggio sociale. L’impegno civile evocato dalle sue fotografie si riflette anche nelle sue idee politiche– naturalmente propensa alle cause dei più deboli e mossa da un’impellente necessità di azione – che non a caso nel 1927 aderisce al Partito Comunista Messicano. Tina morì il 5 gennaio del 1942, secondo alcuni in circostanze sospette. È considerata una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo, nonché una figura importante e controversa del comunismo e dell’uso politico della fotografia. Sue opere sono conservate nei più importanti istituti e musei del mondo, fra i quali la George Eastman House di Rochester e la Library of Congress di Washington.