Le fotografie crescono con noi. Una volta scattate possono essere dimenticate, giacere per lungo tempo in un cassetto o, più spesso, conservate dentro una scatola al riparo della polvere, ma una volta alla vista ci raccontano storie, dettagli che non potevamo notare la prima volta che le abbiamo viste. Sono le fotografie trouvé. Le fotografie di famiglia rappresentano un giacimento di ricordi. Esse, una volta poste insieme alle altre, contribuiscono alla costruzione di qualcosa di più grandioso, una memoria personale che diventa universale. Le fotografie di Stefania Genovese, in mostra presso la Fototeca Siracusana dal 28 Settembre al 18 Ottobre, vanno nella direzione della commozione – la fotografia ha anche questo potere – e in chi le osserva lasciano la sensazione di trovarsi di fronte a un racconto che ci appartiene, che ci riguarda. Per questo amiamo le fotografie trouvé, perché parlano di noi, crescono con noi. Salsedine è un omaggio alla figura del padre che, lo apprendiamo presto, è una figura centrale nell’animo dell’autrice. Le fotografie alternano il tempo in un gioco che si rinnova: le vecchie fotografie, ingiallite dal tempo, sono già un documento in qualche maniera storico, mentre le nuove partecipano attivamente a un dialogo che trova, proprio nel confronto, nuovi spunti semantici. Si diceva del potere emozionale delle fotografie. Non c’è dubbio che le fotografie di famiglia veicolano storie di indissolubile memoria e si impongono come un patrimonio da custodire, ma al tempo stesso, e proprio nel tentativo di ristabilire con la contemporaneità uno stretto, ritrovato dialogo esse riprendono nuova vita. Al centro di Salsedine Stefania Genovese ha posto la figura del padre. L’omaggio che ne scaturisce a un tempo tenero e delicato come si conviene a un progetto fotografico che ama essere sussurrato. E noi, dalla flebile voce delle fotografie apprendiamo di quale passione la figura paterna fosse – e continua a esserlo – attraversato. E qui, entrando direttamente nel tema, comprendiamo di quale passione il soggetto delle fotografie sia attraversato: il mare. Questo spiega il numero di fotografie acquatiche. La storia dell’uomo e del mare è un racconto inesauribile. Chi lo ha negli occhi ha come un dolcissimo tormento, qualcosa di inspiegabile e che non fa desiderare altro che stargli accanto. Tutti coloro che vivono in una città di mare sanno bene del suono delle onde che si infrangono, riconoscono il vento che ne solca le onde, la luce che nasce dai riflessi. Chi ama il mare lo porta addosso, ne indossa l’odore, ama sentire la pelle rivestita dalla lucida freschezza della salsedine. Per questo, grazie al lavoro di Stefania Genovese, conosciamo anche noi la figura di suo padre. E questo altro non vuol dire come l’autrice abbia centrato l’obiettivo: se da una storia personale ne apprendiamo un’altra dalla dimensione universale questo è ciò che chiamiamo fare buona fotografia. Mettere insieme i frammenti dell’esistenza, quelli documentati dalle foto di famiglia insieme alle fotografie recenti, è un’esposizione di responsabilità e coraggio, rispondendo all’urgenza di raccontarsi. Però poi siamo colti da un dilemma, un enigma da risolvere. Non sappiamo infatti, come in un gioco di cui non conosciamo le regole, se siamo noi a “trovare” le vecchie fotografie o sono loro a trovare noi. Chissà. Stefania Genovese è al centro di questo crocevia, e Salsedine è la giusta via d’uscita.
Stefania Genovese (Siracusa 1968)
Laurea all’Accademia di Belle Arti di Catania, coltiva fin da subito un amore profondo per la fotografia. Durante gli anni di studio si dedica all’apprendimento delle tecniche di stampa in camera oscura. Negli ultimi anni, intraprende un percorso di ricerca personale, frequentando diversi corsi e workshop per perfezionarsi nell’utilizzo della fotografia come strumento espressivo. Attraverso l’obiettivo, esplora tematiche legate alla memoria, alla famiglia e al senso di appartenenza, creando narrazioni visive che indagano i paesaggi interiori e il legame profondo con il territorio siciliano.