Simona Franceschino
“Gemäldegalerie – Berlin”
2018

di Enzo Gabriele Leanza
20 Novembre 202476

© Simona Franceschino

 

Quante tipologie di pubblico può avere un museo? Tante quante le persone che lo visitano probabilmente, ma volendo essere un po’ più precisi potremmo provare a delineare delle categorie.

Sicuramente una di esse è rappresentata dai cosiddetti “esperti”, coloro i quali (artisti, critici, curatori, mercanti, collezionisti) conosco a fondo il sistema dell’arte e ne sono direttamente partecipi. Non mancano i “curiosi”, coloro che, pur non conoscendo a fondo il sistema, ne sono affascinati e vorrebbero penetrarne i segreti.

Come in tutti i campi, anche in quello dell’arte, ci sono i “falsi esperti”, coloro i quali non sanno quasi nulla, ma millantano conoscenze di alto livello con chi ne sa meno di loro, come i “neofiti”, quelli che si avvicinano timidamente a questo mondo, sperando che, prima o poi, ne possano comprendere gli intricati meccanismi e che sono facili vittime della categoria precedente.

Gli “aspiranti artisti” ed i “turisti della domenica” chiudono questo ristretto cerchio. I primi sono ai margini del sistema dell’arte, ma ne vorrebbero tanto fare parte, e sarebbero disposti a tutto pur di emergere; i secondi molto spesso sono totalmente estranei al sistema, ma siccome si trovano in un determinato luogo del mondo, dove è presente almeno un museo indicato dalle guide come obbligatorio da visitare, ci vanno, fosse solo per farsi un “prezioso” selfie davanti a un quadro famoso da flexare sui social, dandosi così un tono colto che non gli appartiene.

A raccontare, mostrandolo, questo composito quadro di avventori dei musei, può pensarci, come ha fatto in molti casi, la fotografia. Infatti tanti sono stati i fotografi che si sono “dilettati” a riprendere le sale museali di tutto il mondo assiepate di visitatori. Nomi importanti come quelli di Ghirri, Mulas e Struth, solo per citarne alcuni, hanno legato il loro sguardo a quello degli “osservatori dell’arte”. Molto spesso ripresi di schiena, questi uomini e donne manifestano, inconsapevolmente, la più vasta gamma di atteggiamenti e di disposizioni dello sguardo.

Un significativo saggio di questa umanità museale ce lo fornisce Simona Franceschino, autrice dell’equilibrata immagine realizzata alla Gemäldegalerie di Berlino, di cui qui si discute. All’interno di un contesto espositivo sobrio e illuminato da una luce tenue e diffusa, come si addice alla corretta visione delle opere d’arte, la fotografa ritrae tre soggetti che compiono altrettante azioni.

Su un precario rialzo, una donna anziana vestita spartanamente regge, proiettandosi leggermente in avanti, un supporto su cui adagia il grande foglio di carta che le serve per studiare-copiando l’opera che ha di fronte. Alle sue spalle, probabilmente non percepito, un uomo, facendo un accentuato arco con la schiena come se stesse per scoccare una freccia, brandisce, senza molta cura dell’impugnatura, uno strumento atto a riprendere (forse una fotocamera compatta, ma potrebbe anche essere un più prosaico telefonino). Noi che osserviamo la “scena” non sappiamo con certezza cosa stia fotografando, forse il quadro o forse, molto più probabilmente, la donna che disegna, creando così un cortocircuito meta-fotografico all’interno dell’immagine della Franceschino.

Tra i due soggetti, in posizione più prossima all’uomo, una seconda donna, questa decisamente più elegante della prima, dà le spalle al quadro oggetto di tanta attenzione e con la mano destra sembra “pulirsi” gli occhi. Avrà osservato talmente a fondo le opere da averne addirittura dolore? Si è commossa a tal punto da doversi asciugare le lacrime? Oppure è totalmente indifferente al contesto? Non lo sapremo mai, perché la fotografia non ce lo dice. Ciò non ha comunque importanza, perché sono questi piccoli enigmi che lasciano aperta la lettura dell’immagine al divertente gioco delle interpretazioni multiple e mai definitive.

L’unico dato che appare certo è la posa della Santa Cecilia di Rubens che sta al centro della scena ripresa, che, mentre suona, sembra lagnarsi dell’indifferenza dei presenti, non cogliendo però lo sguardo attento della fotografa che di lei ha fatto il centro prospettico della sua immagine.

 

 

 

Simona Franceschino (Catania 1979)

Laureata in Lettere Moderne presso l’Università di Catania. Ha scritto per alcuni giornali locali e ha collaborato alla pianificazione di workshop, corsi e master sull’arte contemporanea. S’interessa di fotografia sin dall’infanzia, dopo aver ricevuto in dono dal padre una fotocamera compatta. Si definisce un’esteta e un’amante dell’arte ed è alla continua ricerca del bello in ogni luogo. Tale ricerca si traduce spesso in fotografie, da lei considerate veicolo comunicativo efficace al pari delle parole. È stata socia dell’ACAF, associazione catanese presso la quale ha seguito diversi corsi di approfondimento delle tecniche fotografiche, ed è stata membro attivo del gruppo di ricerca visiva [see]thing. Per carattere è sempre a caccia d’ispirazione e di arricchimento della propria identità culturale e stilistica,  ha quindi proseguito la sua formazione con lo studio dei grandi autori della storia della fotografia. Ha partecipato a molteplici contest, workshop e vernissage, impegnandosi nell’esplorazione di diversi generi fotografici. Nel 2018, con il lavoro Non è un paese per vecchi?, si è classificata al secondo posto alla lettura portfolio dell’Etna Photo Meeting e, nel 2019, con il lavoro I Giudei di San Frareau, ha ottenuto il terzo premio alla lettura portfolio organizzata dal suddetto EPM. Dal 2019 al 2023 è stata la Social Media Manager di Spectrum, progetto per il quale ha curato il sito internet, la comunicazione social nonché la redazione di saggi e interviste.