© Renato Iurato
Le feste religiose in Sicilia sono un momento di identità comunitaria che riunisce centri piccoli e grandi dell’Isola. Ogni paese festeggia il suo Santo Patrono in grande stile, ma a scandire il tempo spesso non basta solo una festa e diverse comunità, anche piccole, hanno più “simulacri” cui rendere omaggio.
Uno di questi centri siciliani “festaioli” è sicuramente Scicli, in provincia di Ragusa, dove momenti sentiti sono quelli della Cavalcata di San Giuseppe e della Madonna delle Milizie (i Mulici in gergo locale), ma su tutti vince, a mani basse, quello dell’Uomo Vivo (U Gioia) della Domenica di Pasqua. In quell’occasione, attorno al fercolo festante, si riunisce un paese intero, insieme a un nutrito gruppo di turisti attratti dal dinamismo e dal folklore dell’evento.
Da un po’ di anni a questa parte, da quando ha preso piede quella che gli esperti chiamano smartphone photography, nessuno dei partecipanti all’evento si sottrae a un altro rito: quello di portare a casa un souvenir fotografico, seppur realizzato con uno strumento non professionale. E allora tutti con le braccia alzate a catturare un ricordo, che poi magari verrà condiviso sui social, per dire io c’ero, modalità ormai diffusa di utilizzare il mezzo, che sposta “l’è stato delle cose” tanto caro a Roland Barthes, verso un più prosaico “io ci sono stato” tanto caro alla comunità degli internauti. Non saprei dire se, nello specifico, “U Gioia” di Scicli sia, per usare il linguaggio contemporaneo, instagrammabile, ma sicuramente è un evento molto fotografato e “socializzato” ed è diventato anche, in un contesto decisamente più colto, protagonista di una celebre canzone del cantautore Vinicio Capossela.
Fuori da questa curiosità morbosa per “l’esotico” e “il fotogenico” di una festa che non appartiene a tanti che corrono a vederla anno dopo anno, c’è una comunità locale di devoti che animano l’evento sentendolo come un momento di fede e di condivisione. C’è chi organizza, chi incassa le offerte, chi gestisce l’ordine pubblico, chi porta a spalla il fercolo, chi prega, chi piange e anche chi fotografa. Nonostante siano abituati a questo evento, cui assistono annualmente, anche gli sciclitani fotografano “U Gioia”, fosse solo per trattenere a sè, per mezzo di una fotografia che diventa santino, la sua protezione per l’anno a venire. Tra di essi, uno in particolare, ha fatto delle fotografie al Gioia il suo personale rito di preghiera; una preghiera laica che raccoglie quei contorni di luce, che tanto senso assumono nella liturgia e nel pensiero cristiano, ma anche nella pratica fotografica.
Sto parlando di Renato Iurato, fiero esponente della fotografia iblea, che, qualche anno addietro, al “suo” Gioia ha addirittura dedicato un ponderoso volume che condensa vent’anni di “gioiosa” fotografia. Le sue immagini, come grani di un Rosario, rappresentano le sue sentite preghiere al Cristo Risorto, che non so quanto l’abbia ascoltato ed esaudito, ma che sicuramente gli ha regalato una certa notorietà nel suo contesto di vita, proprio grazie alle fotografie a lui dedicate.
Tra le tante immagini realizzate da Renato, una mi ha sempre colpito. Mi riferisco a quella che potremmo definire a primo sguardo una fotografia sbagliata: mossa, sovra-esposta, apparentemente fuori fuoco e per di più quadrata. A ben guardare però quello che il fotografo ha cercato in essa non era quella “perfezione che non appartiene a questo mondo”, ma un modo personalissimo per raccontare “la sua gioia” davanti all’evento. Tutto quindi trova una motivazione altra, anche gli apparenti errori, che tali non sono. Il “mosso” è da sempre il linguaggio prediletto di Iurato, che in questo caso ha trovato il soggetto per eccellenza per applicarlo, riuscendo a restituire in un singolo scatto tutto il dinamismo di un evento vorticoso. La sovra-esposizione ci parla di luce, divina e iblea, che poi forse sono la stessa cosa. L’apparente fuori-fuoco, determinato dalla concitazione degli eventi e dal loro stesso dinamismo, fa vibrare ulteriormente la scena che nei nostri occhi appare viva e comunque perfettamente leggibile. Il formato quadrato, che sembra costringere il movimento impedendogli di dilatarsi e che poco in teoria si presta all’immagine reportagistica, rappresenta invece l’abbraccio del fotografo al suo Cristo, alla sua comunità che s’intravvede attorno e al suo paese di cui si coglie uno spicchio cromaticamente significativo.
Quella che abbiamo davanti non è quindi una semplice fotografia, ma un vero e proprio atto di devozione, realizzato da un uomo che, con un solo scatto, rende omaggio alla “sua festa”, al “suo popolo” ed a sè stesso come fotografo capace di dominare il mezzo per fini non documentativi, ma di passione e sentimento.
Renato Iurato (Scicli 1968)
Si avvicina da autodidatta alla fotografia nel 1993 dedicandosi da subito alle sperimentazioni cromatiche con il metodo del cross processing. Suoi ambiti di ricerca sono il mare, la luce, i riti religiosi e il paesaggio. Nel 1996 fonda a Scicli il Reflex Foto Club, un’associazione che diventerà presto un riferimento per la fotografia nell’area iblea, di cui sarà Presidente fino al 2000. Negli stessi anni si avvicina alla fotografia nazionale iscrivendosi alla FIAF e ricoprendo per la stessa la carica di Delegato Provinciale. Nel corso del tempo è stato promotore d’importanti iniziative culturali nel comprensorio ibleo, tra le quali ricordiamo la rassegna di mostre fotografiche organizzate presso il Caffè Letterario Vitaliano Brancati e il Palazzo Spadaro di Scicli, le due edizioni del concorso fotografico nazionale Luce Barocca ed i numerosi corsi di fotografia di base. Nel 2012, dopo anni di paziente e silenziosa raccolta di immagini, pubblica, come proposta artistica e atto di fede, il volume Scatti di Gioia, dedicato alla Domenica di Pasqua del suo paese. Negli anni successivi darà alle stampe altri tre libri: Le mie onde (2014), Notti silenti (2017) e Free as a bird (2023), quest’ultimo secondo volume della collana Gli Album di Spectrum. Nel 2013 dà inizio a una collaborazione con il Museo del Costume di Scicli con il quale realizza un ciclo di mostre fotografiche denominato Raccontiamoci la nostra Sicilia, due corsi fotografici di base e uno sulla post-produzione digitale e il workshop Fashion Barocco. Nello stesso anno, insieme ad alcuni amici, fonda il Gruppo Fotografico Luce Iblea divenendone il Presidente e dando inizio a un’intensa attività di promozione culturale e di formazione di giovani fotografi, attraverso corsi e workshop e il Premio Luce Iblea.