Fino al 30 marzo 2025, presso la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti di Palazzo della Ragione a Verona, è in programma la mostra Mario Merz. Il numero è un animale vivente, a cura di Patrizia Nuzzo e Stefano Raimondi.
Dopo il successo riscosso nella prima edizione che ha visto la presenza di Giulio Paolini, la collaborazione tra ArtVerona ed i Musei Civici di Verona – Galleria d’Arte Moderna Achille Forti con il format Habitat, progetto della manifestazione fieristica veronese dedicata agli ambienti artistici immersivi, si consolida attraverso una nuova edizione che propone, negli spazi della GAM, i lavori di un altro grande artista come Mario Merz, grazie ai prestiti provenienti dalla collaborazione con la Fondazione Merz.
Figura cardine dell’Arte Povera e nota a livello internazionale, Mario Merz ha fatto della compenetrazione tra opera e ambiente il fulcro della propria ricerca e il percorso espositivo concepito dai curatori Patrizia Nuzzo, Responsabile delle Collezioni d’Arte Moderna e Contemporanea, e Stefano Raimondi, Direttore artistico di ArtVerona, si concentra proprio sugli elementi archetipici che costantemente ritornano nella produzione dell’artista.
L’Habitat è qui declinato nella sua accezione più intima e profonda di spazio dell’abitare: la forma semisferica e aperta dell’igloo evidenzia la reciproca invasione tra opera e ambiente, tra dimensione interna ed esterna, individuale e collettiva. A suggerire un’idea di circolarità contribuisce la natura spiraliforme della serie numerica di Fibonacci, inventata dal matematico toscano Leonardo Fibonacci nel 1202 come sequenza progressiva che determina i processi di crescita del mondo naturale, in cui ogni numero è la somma dei due precedenti. Tale successione numerica traccia il profilo di un sistema in continua espansione che si traduce in un’incessabile proliferazione delle forme.
L’elemento del tavolo, che l’artista concepisce come un “pezzo di terra sollevato”, va a fondersi con l’ambiente circostante, che assume sempre più i tratti di un paesaggio al contempo estraneo e familiare, distante e vicinissimo, abitato da strutture primarie e archetipiche che trascendono le distinzioni tra materia organica e inorganica.
La riflessione intorno alla natura ciclica delle cose nella poetica di Mario Merz non interessa solo lo spazio ma anche e soprattutto il tempo. Le scure ed enigmatiche sagome degli animali preistorici si stagliano infatti sul bianco del supporto come improvvise apparizioni provenienti da una lontana era geologica, facendosi emblema di un registro formale che attinge a un immaginario remoto e ancestrale, in grado di ricondurre lo spettatore a una dimensione prerazionale dell’esistenza.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo con contributi critici dei curatori, nonché dello storico dell’arte e saggista, direttore dei Musei Nazionali di Perugia e della Direzione Regionale Musei dell’Umbria, Costantino D’Orazio. Un puntuale regesto storico-critico a cura di Milena Cordioli ricostruirà e documenterà la ricca vicenda espositiva di uno dei protagonisti più avvincenti dell’Arte Povera.
Mario Merz (Milano 1925 – 2023)
Nato a Milano da una famiglia di origine svizzera, si trasferisce presto a Torino, dove nel 1954 inaugura la sua prima mostra personale presso la Galleria La Bussola presentando dipinti di taglio espressionista. Dagli anni Sessanta la sua ricerca inizia a prendere gradualmente le distanze dalla bidimensionalità dei lavori a parete e si avvia verso una sperimentazione che ingloba nella tela elementi organici. Intorno al 1968 approda alla forma dell’igloo, che diventerà elemento iconico della sua opera, di cui negli anni realizzerà diverse versioni servendosi di una vasta quantità di materiali che andranno dall’argilla, al vetro, ai neon. A partire dal 1970 la sua attenzione ricade sulla sequenza numerica di Fibonacci, nella quale riconosce un sistema progressivo in grado di rappresentare i processi di crescita del mondo naturale. Da questo momento le cifre della serie di Fibonacci, realizzate in neon, verranno inserite in gran parte dei suoi lavori, a suggerire il continuo e dinamico scambio tra mondo organico e inorganico che anima la sua poetica. Nel corso della sua lunga carriera espone le sue opere in mostre personali e collettive presso prestigiose istituzioni museali italiane e internazionali quali Palazzo delle Esposizioni di San Marino (1983), Kunsthaus di Zurigo (1985), Guggenheim Museum di New York (1989), Museo Pecci a Prato (1990), Stedelijk Museum di Amsterdam (1994), Fundaçâo de Serralves di Porto (1999) e Fundación Proa di Buenos Aires (2002). Tra le più significative onorificenze conferitegli, ricordiamo la Laurea Honoris Causa dal Dams di Bologna (2001) e il Premio Imperiale dalla Japan Art Association (2003). A seguito della sua scomparsa, avvenuta nel 2003, oltre ai progetti curati dalla Fondazione Merz, diverse iniziative espositive sono state dedicate ai suoi lavori dalle maggiori istituzioni internazionali, che si aggiungono a quelle già realizzate con l’artista ancora in vita, tra le quali si annoverano la monografica Disegni, al Kunstmuseum di Winterthur (2007); Città Irreale, alle Gallerie dell’Accademia di Venezia (2015); Numbers are prehistoric, al Museum of Cycladic Art di Atene (2015); Igloos, con oltre trenta igloo ospitati dal Pirelli Hangar Bicocca di Milano (2018); l’ampia antologica El tiempo es mudoal Reina Sofía di Madrid (2019); e un allestimento a lungo termine alla Dia Art Foundation di New York (2020-2023). Nel 2021 la Fondazione ospita una doppia personale dal titolo La punta di matita può eseguire un sorpasso di coscienza con varie opere inedite di Marisa e Mario Merz in un allestimento curato da Mariano Boggia, e nel 2024 nell’ambito del progetto ZACentrale la Fondazione Merz presenta la personale My Home’s Wind.