Fino al 9 Febbraio 2025 il Palazzo Rocca di Chiavari ospita la mostra Consonanze di Mario Cresci.
Il termine che dà il titolo alla mostra appartiene alla sfera musicale, ma inserito in un contesto di compresenze con le opere in esposizione permanente, evoca i continui rimandi che nascono tra pittura e fotografia, tra la ricerca del vero e il realismo della prima e l’incertezza della veridicità propria della visione fotografica.
Cresci non è nuovo a queste contaminazioni di linguaggi e la sperimentazione ha improntato la sua intera produzione artistica dagli esordi ai nostri giorni.
L’autore, nativo proprio di Chiavari, ma ormai da anni residente a Bergamo, ritorna idealmente e con tutti gli onori del caso alla sua città d’origine per regalare ai suoi concittadini uno spaccato significativo della sua creatività, che gli è valsa un posto d’onore tra i migliori artisti italiani della fine del Novecento e del primo ventennio degli anni Duemila.
La mostra privilegia opere dedicate agli oggetti e alle “immagini di immagini,” come celebri capolavori – la Monna Lisa (2012) di Leonardo e la Fornarina (2017) di Raffaello – rivisti da prospettive inusuali. Anche la Pietà Rondanini (2013-2016) di Michelangelo è fotografata con varie illuminazioni per esplorarne il suo rapporto con lo spazio e la luce. Sono presenti nuove “misurazioni” dedicate, anziché alla “cultura materiale” della Matera in cui ha vissuto per tanti anni, agli oggetti dell’appartamento borghese appartenuto ad Annita, la madre della moglie dell’artista (La casa di Annita 2003). Abbiamo poi la “consonanza” con il mare (Elementa #01, 2015), che per Cresci è il luogo del trauma del naufragio di chi cerca una salvezza sulla costa opposta del Mediterraneo. Sono i suoi “segni migranti” (Segni migranti, 2013), che non sono solo la metafora del dramma sociale e culturale più acuto del nostro tempo, ma della vocazione nomade della propria arte, che si trova costantemente alla ricerca di una nuova dimora linguistica da abitare» spiega il critico Luca Fiore.
«É un vero onore ospitare la mostra fotografica di Mario Cresci artista nato a Chiavari nel 1942 e per questo siamo orgogliosi di avere una tale personalità tra le eccellenze del nostro territorio – dichiara l’assessore alla cultura, Silvia Stanig – Una carriera eccezionale costellata di premi e riconoscimenti e partecipazioni alle più grandi mostre internazionali. Fin dagli anni Settanta Cresci porta avanti la sua ricerca che va ben oltre la semplice fotografia e attraversa l’opera grafica, gli audiovisivi, le installazioni applicando la cosiddetta cultura del progetto messa in relazione con i diversi linguaggi visivi senza aver mai paura di sperimentare. Un particolare ringraziamento va al Gruppo Fotografico Chiavari per l’eccellente organizzazione».
Mario Cresci (Chiavari 1942)
È tra i primi in Italia della sua generazione ad applicare e coniugare la cultura del progetto alle sperimentazioni sui linguaggi visivi. La sua complessa opera affonda le proprie radici in studi multidisciplinari a partire dal 1964, anno in cui inizia a frequentare il Corso Superiore di Disegno Industriale a Venezia. Nel 1968 si trasferisce a Roma dove entra in contatto con Pascali, Mattiacci e Kounellis. Fotografa Boetti e il gruppo dell’Arte Povera torinese durante l’allestimento della mostra Il percorso, presso lo Studio Arco d’Alibert. Nel 1969, presso la Galleria Il Diaframma di Milano, progetta e realizza il primo Environnement fotografico in Europa, nel nome del dualismo tra ricchezza e povertà. Premio Niépce per l’Italia nel 1967, prende parte a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1970, 1978, 1993, 1995). Dal 1974, alcune sue fotografie, insieme a quelle di Luigi Ghirri, fanno parte della collezione del MoMA di New York. A partire dagli anni Settanta ibrida lo studio del linguaggio fotografico e la cultura del progetto con l’interesse per l’antropologia culturale, realizzando in Basilicata progetti centrali per lo sviluppo della fotografia in Italia, tra cui ricordiamo il libro Matera, immagini e documenti del 1975. È autore di opere multiformi caratterizzate da una libertà di ricerca che attraversa il disegno, la fotografia, l’esperienza video, l’installazione. Varie sono le tematiche e le sperimentazioni sviluppate nelle sue opere nel corso degli anni: dagli slittamenti di senso, alle variazioni, dalle analogie al rapporto con il paesaggio e i luoghi dell’arte. Per Cresci, infatti, la fotografia non è mai fine a se stessa, autosufficiente e singolare, ma è sempre parte di un racconto per immagini capace di coniugare conoscenza e bellezza, ricerca sul campo ed emozione visiva. Il progetto sperimentale del laboratorio-scuola di formazione artistica tra arte, multimedia e design, ideato per la Regione Basilicata, lo avvicina sempre più all’insegnamento che, dalla fine degli anni Settanta in poi, diviene parte integrante del suo lavoro d’autore. Ha diretto l’Accademia di Belle Arti G. Carrara dal 1991 al 1999, inserendo nella sua programmazione interdisciplinare numerose attività culturali dedicate ai giovani artisti, come Arte & Impresa, Clorofilla e Accademie in Europa, in collaborazione con la GAMeC di Bergamo. Ha insegnato al Politecnico di Milano, all’Università degli Studi di Napoli – L’Orientale, alla Facoltà di Lettere di Parma, allo IED e alla NABA di Milano, allʼAccademia di Brera e alla Fondazione Fotografia di Modena. Attualmente è docente all’ISIA di Urbino. Per diversi anni è stato visiting professor all’École d’Arts Appliqués di Vevey (Svizzera). La rifondazione del senso del paesaggio e della costruzione dell’immagine fotografica lo portano a essere uno degli autori cardine della mostra Viaggio in Italia che Luigi Ghirri organizza alla Pinacoteca Provinciale di Bari nel 1984. Tra le più importanti esposizioni si ricordano: nel 2004 la mostra antologica Le case della Fotografia, 1966-2003 presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino; tra 2010 e 2012 il progetto itinerante di Forse Fotografia presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, l’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma e Palazzo Lanfranchi di Matera; nel 2014 la mostra Ex-post. Orizzonti momentanei al Museo d’Arte di Gallarate; nel 2016 le due mostre In aliam figuram mutare al Castello Sforzesco di Milano e Mario Cresci. Ri-Creazioni presso Camera a Torino e nel 2017 La fotografia del no alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, dove espone cinquant’anni di lavoro orientando il percorso della mostra sulla lettura di alcune delle principali tematiche che accomunano gran parte dei suoi progetti. L’anno 2023 trova Cresci impegnato nella rilettura del suo lavoro attraverso focus specifici raccontati in due ampie mostre: L’esorcismo del tempo, 1970-1980 al MAXXI di Roma e Colorland, 1975-1983 al Monastero di Astino per la Fondazione MIA di Bergamo . Ha pubblicato numerosi saggi e articoli, in particolare per l’inserto cultura de “Il Sole 24 Ore”. Ampia e articolata è la sua produzione di libri e più in generale di contributi, anche teorici, sulla fotografia e la comunicazione visiva. Nel 2019 ha pubblicato Segni migranti.Storie di grafica e fotografia, un compendio della sua ricerca e premiato come Livre Historique ai Les Rencontres de la Photographie 2020 di Arles. Nel 2022 pubblica Matrici. L’incertezza del vero, dove sperimenta la coesistenza tra scrittura e immagine.