Lo scorso 5 Novembre a Roma è morta la pittrice Marilù Eustachio, nata a Merano nel 1934.
All’età di due anni si trasferisce a Roma dove consegue la maturità classica e segue un corso triennale per pubblicitari. Riceve una borsa di studio dall’Accademia di Francia e più tardi si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia, approfondendo la ricerca sulla percezione visiva, che sarà alla base sia del suo lavoro pittorico sia di quello fotografico.
Insegna per vent’anni pittura nelle Sezioni di Custodia Preventiva e negli Istituti di Osservazione per Minorenni. Pur avendo scelto la pittura come mezzo privilegiato d’espressione, la Eustachio ha da sempre creato opere che cercano di riunire una doppia vocazione: quella letteraria e quella relativa alle arti figurative. I suoi taccuini ad esempio, realizzati fin dall’infanzia, sono concepiti come un processo che permette di “fare un libro a mano, che si può arricchire con immagini e con scritti, con note e trascrizioni”.
Secondo lo storico dell’arte Peter Weiermair, Susan Sontag ha definito l’opera di Eustachio come “un raccogliere, accumulare, costruire e lasciar tracce”. Marilù Eustachio si è cimentata anche con la fotografia, e in questo caso si è concentrata su nature morte e oggetti trovati.
L’artista, per sua libera scelta, non ha mai voluto far parte di movimenti o gruppi, perseguendo in modo radicale un ideale di indipendenza e libertà tanto nel suo lavoro quanto, coerentemente, nella sua vita. Negli anni Sessanta però è stata tra i fondatori de Il Girasole, un collettivo di giovani artisti cui era particolarmente legata.
Dopo un lungo ciclo di studi monocromi sul ritratto (iniziato nel 1968), in cui l’immagine si è andata progressivamente rarefacendo, fino al limite della percezione, nel 1974 cambia sia i procedimenti di lavoro sia i materiali e inizia una serie di quadri bianchi (garza su tela applicata a diversi strati con colla di coniglio) che si costituiscono come punto di congiunzione tra il lavoro precedente e quello attuale.
Nel 1985 ha dato inizio a una serie di studi sull’amore, molti dei quali dedicati a Emily Dickinson; lavoro poi confluito in un libro. Espone in diverse gallerie e musei in Italia. In particolare a Roma, per anni presso le gallerie Giulia e La Nuova Pesa. Nel tempo ha mantenuto sempre i rapporti con la sua terra d’origine, esponendo presso le gallerie Il Sole e Spatia di Bolzano.
Dal 1986 tiene regolarmente una sorta di diari, i “taccuini”, che nel tempo sono diventati oltre 300, in cui conserva schizzi, ma anche testi e citazioni, condensato di sentimenti, intuizioni ed esperienze. Di formato, dimensioni e carte diverse, i taccuini, sono caratterizzati da una miscellanea di tecniche dove si alternano e si uniscono arti figurative e letteratura tenuti insieme dal filo rosso del metodo diaristico. Tra le opere e i taccuini vi è “un processo di osmosi continuo”, i temi della pittura nascono e ritornano tra le pagine dei taccuini, che ne testimoniano i processi di studio e di elaborazione.
Per la Eustachio il taccuino diventa “consuetudine irrinunciabile”. La forma diaristica ha sempre accompagnato l’artista, fin dall’infanzia aveva l’abitudine di trascrivere su un quaderno poesie e brani di narrativa, particolarmente amati, per salvarli nella memoria, e farli suoi. Già nel 1981 alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, nell’ambito della mostra collettiva Arte e Critica 1981, a cura di Marisa Volpi Orlandini, l’artista aveva esposto una prima forma di arte diaristica: 365 disegni, uno per ogni giorno dell’anno.
La Eustachio aveva iniziato a fare fotografie quando a sei anni il padre le aveva regalato la prima macchina fotografica, da quel momento questa pratica ha convissuto e con la sua attività di pittrice e suoi lavori sono stati pubblicati in diversi giornali e riviste.
Sue opere sono fanno parte delle collezioni della Galleria Civica di Modena e del Museion di Bolzano.
Emblematico del suo fare arte è questo pensiero trascritto su uno dei suoi taccuini: <<Se l’arte oggi non ha più una direzione rintracciabile, una strada maestra da indicare, ma si muove, e spesso si disperde, in mille tracciati opposti tra loro: se è difficile orientarsi e partecipare, resta possibile tuttavia stilare delle note, sia pure in margine ad un corpo assente. […] Quando traccio su una tela o su un foglio dei segni, quando stendo dei colori, quando inizio un lavoro, mi aspetto una piccola rivelazione, una scoperta: un mondo che affiori dal buio e affermi la sua esistenza, un’immagine inattesa e sconosciuta>>.
© Eredi Marilù Eustachio
© Eredi Marilù Eustachio