La semplice osservazione del mondo della cultura contemporanea ci pone di fronte a uno scenario in cui il prefisso post sembra essere diventato la chiave di volta su cui scaricare tutto il peso della complessità che stiamo attraversando. A questo apocalittico
scenario da “post-qualcosa” non poteva sottrarsi nemmeno la fotografia, soprattutto oggi che, dal discreto “uso medio” fatto per il primo secolo e mezzo della sua storia, è passata a uno spropositato uso mediale che ha proiettato l’intera nostra esistenza dentro una nuova forma di realtà: l’iconosfera.
Partendo dalla semplice riflessione che ormai “siamo soggetti a un’inflazione d’immagini senza precedenti”, lo spagnolo Joan Fontcuberta costruisce un articolato saggio sulla condizione “post-fotografica”. Nonostante il sottotitolo utilizzato, le sue non sono semplici note sull’argomento, pensieri sparsi e raccolti casualmente in un piccolo volume, ma si pongono invece come riflessioni profonde, articolate e ben argomentate su una delle più importanti e dinamiche questioni del contemporaneo.
La “furia delle immagini” cui si riferisce nel titolo è quella determinata dal passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale e più ancora dal passaggio dalla fotografia tradizionale alla smartphone photography.
Questa “seconda rivoluzione digitale” ha reso il fenomeno del tutto incontrollabile, trasformando l’uso della fotografia non più in quello di mediatore di relazione e conoscenza con il mondo, ma nella materia prima del mondo stesso.
Viviamo infatti in una realtà fatta di immagini e, di fronte al fenomeno della più grande produzione di “figurine” della storia umana, sembriamo essere completamente disarmati. Il valore di ogni singola fotografia sembra sparito, risultando sacrificabile sull’altare della possibilità di produrne sempre di nuove.
Tale eccesso ri-produttivo per Fontcuberta preannuncia una vera e propria esplosione del sistema, ormai contaminato da tante/troppe metastasi visive. Vari sono gli argomenti trattati in questo densissimo saggio e tra gli altri riflessioni articolate sono dedicate dall’autore al fenomeno del selfie, banalizzazione contemporanea del più nobile genere dell’autoritratto che sembra aver trasformato l’umanità intera in un enorme Narciso, che non sa guardare più davanti a sè o dentro di sè, ma solamente alla propria superficie specchiante e artefatta.
Fontcuberta registra il fenomeno come quello di un rito collettivo, di una vera e propria “danza selfica” che funge da attestato di esistenza e di certificazione di esperienza, riscrivendo lo storico veni, vidi, vici di romana memoria, in un più banale, ma storicamente più corretto, veni, vidi, selfie.
Altro fenomeno analizzato con rigore è quello della sempre più diffusa pratica del riciclo e dell’adozione d’immagini da parte di artisti contemporanei (ma non solo da loro) che utilizzano le fotografie postate da inconsapevoli utenti dei vari social per costruire opere e riflessioni sul nostro modo di pensare, produrre, godere e utilizzare le fotografie.
Sono tanti i casi proposti, ma certamente uno dei più rilevanti è quello di Erik Kessels, artista olandese già citato a partire dalla copertina del libro, che più volte ha fatto uso di foto recuperate dal web e non solo. Data la complessità dell’argomento, bisogna rendere merito a Fontcuberta di averne saputo tracciare una significativa sintesi, con tanto di silloge di esempi importanti, e di averla messa a disposizione, grazie al suo linguaggio colto ma accessibile, a un pubblico vasto e non confinato a quello esclusivo ed elitario degli addetti ai lavori.
Editore: Einaudi (Torino) – Anno: 2018 – Pagg: 238 – Illustrazioni: 92 – Dimensioni: 20,7×13,5x2cm – Rilegatura: Brossura – Collana: I Maverick – Testi: Joan Fontcuberta – Lingua: Italiano – Traduzione: Sergio Giusti – ISBN: 9788806237004