Fino all’1 Dicembre il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo esporrà la personale di Franco Vaccari dal titolo Photomatic d’Italia (1973-74). La mostra è frutto della recente acquisizione di cinque opere dell’artista emiliano, protagonista della riflessione sullo statuto della fotografia, sulla partecipazione attiva dello spettatore e sui mass-media a partire dagli anni Sessanta.
Le opere acquisite fanno parte della serie Photomatic d’Italia, realizzata da Vaccari cinquant’anni fa grazie all’utilizzo di oltre 700 cabine Photomatic posizionate lungo tutto il territorio italiano. In ogni cabina Vaccari collocò un poster che pubblicizzava la ricerca di volti per la realizzazione di un film, invitando gli utenti a ritrarsi e a lasciare una striscia di fototessere nella scatola metallica collocata nella cabina stessa.
Nel corso del progetto, Vaccari girò l’Italia per osservare l’andamento delle “riprese”, ritirare le strisce lasciate dalle persone e fotografare le cabine. Questi materiali, successivamente, sono stati riassemblati su cartoncino e firmati dall’artista.
“Nello spazio pubblico – come dichiarato dall’Ufficio Stampa del museo milanese – Vaccari isola uno spazio privato, autonomo, di autocoscienza, connotato da una temporalità propria che si definisce nel momento dell’azione partecipata”.
La pratica artistica di Vaccari è sempre andata di pari passo con la sua riflessione teorica, tesa a indagare temi quali la natura del segno fotografico nella società contemporanea, la relazione con lo spazio pubblico e l’occultamento dell’autore.
Insieme alle opere, il Museo ha acquisito otto libri d’artista di Vaccari, nello specifico alcuni tra i primi progetti avanguardistici dell’artista modenese, tra cui Entropico, Atest, Per un trattamento completo, Tre esposizioni in tempo reale, Viaggio sul Reno e Esposizione in tempo reale 9, realizzati tra il 1965 e il 1975, che saranno resi disponibili alla consultazione del pubblico anche in formato digitale.
Franco Vaccari (Modena 1936)
Figlio di un fotografo professionista, sin dagli anni in cui frequentava il liceo, ha coltivato interessi intorno all’arte, in particolare la poesia, la fotografia e il cinema. Ha frequentato l’Università a Milano, dove ha completato gli studi scientifici laureandosi in Fisica al Politecnico. Studi e interessi della giovinezza indirizzano e formalizzano quelle ricerche sperimentali che confluiranno da una parte nella produzione artistica d’esordio come poeta visivo (Pop esie, 1965; Entropico, 1966; Le tracce, 1966; Atest, 1968; La scultura buia, 1968; Strip-street, 1969; Per un trattamento completo, 1971), dall’altra parte in una sempre più serrata riflessione teorica sui mezzi di comunicazione e il processo artistico (Duchamp e l’occultamento del lavoro, 1978; Fotografia e inconscio tecnologico, 1979). La sua prima personale è ospitata alla Galleria dell’Elefante di Venezia già nel 1966, ma è con L’ambiente buio (Centro di Documentazione Visiva, Piacenza, 1968) e poi con Ambiente Geiger (Galleria Techné, Firenze, 1969) e Concerto cosmico (Modena, 1969) che inaugura un’autonoma e personale espressione artistica intesa, piuttosto che come opera finita, nel senso di una più ampia azione concettuale a partire dall’ambiente in cui si svolge sino alle possibili interazioni con i fruitori, azione che viene documentata attraverso lo strumento fotografico e che, nella pubblicazione del catalogo (alias “libro d’artista”), perviene alla propria restituzione logica e alle proprie evidenze di significato. In tal senso, il libro La scultura buia (Piacenza, 1968) può essere considerato a tutti gli effetti il primo esempio. A queste azioni-evento Franco Vaccari assegna la denominazione di esposizioni in tempo reale: «La differenza fra gli happening, le performance e le esposizioni in tempo reale è una differenza di struttura. Mentre infatti le prime si sviluppano linearmente e nelle varie fasi ubbidiscono a precisi programmi predeterminati, le esposizioni in tempo reale hanno come elemento caratterizzante la possibilità di retro-azione e cioè del feed-back». Dunque, l’ambiente non è lo “spazio dell’esposizione” e nemmeno “dell’azione” stricto sensu, al contrario è “spazio della relazione”; l’opera non è un “dato progettato dall’artista”, al contrario è un “processo innescato dall’artista”. È con l’Esposizione in tempo reale n.4. Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, sala personale al Padiglione Italia della Biennale di Venezia del 1972, che ottiene il primo riconoscimento internazionale, aprendosi al grande pubblico: «Ho esposto una cabina Photomatic (una di quelle cabine per fototessere che si trovano nelle grandi città) e una scritta in quattro lingue che incitava il visitatore a lasciare una traccia fotografica del proprio passaggio. Io mi sono limitato ad innescare il processo facendo la prima photostrip, il giorno dell’inaugurazione; poi non sono più intervenuto. Alla fine dell’esposizione le strip accumulate erano oltre 6000». Come scrive Renato Barilli nell’introduzione al libro che ne segue (Esposizione in tempo reale, Pollenza, La Nuova Foglio Editrice, 1973), era «l’instaurarsi di una ben regolata dialettica tra programmazione e caso, calcolo e alea, intervento selettivo dell’artista e criterio democratico di lasciar fare agli altri». Soprattutto, l’azione-evento di Franco Vaccari demolisce lo status della fotografia come “mimesi”, “rappresentazione”, per ripristinarne criticamente la natura di “frammento di una esperienza”, “traccia di un accadimento”. Alla Biennale di Venezia Franco Vaccari espone con sala personale ancora nel 1980 (Esposizione in tempo reale n. 19. Codemondo) e nel 1993 (Esposizione in tempo reale n. 21. Bar code – Code bar), e nell’ambito della collettiva L’Io e il suo doppio curata da Italo Zannier nel 1995. La presenza al Trigon ‘73 e al Trigon ‘75 alla Neue Galerie di Graz, l’esposizione alla Triennale di Milano nel 1979, l’antologica al Museum Moderner Kunst di Vienna nel 1984, l’esperienza alla Kunsthauschen di Bregenz nel 1998, la partecipazione alla mostra Minimalia al PS1 Contemporary Art Center di New York nel 1999, il progetto a La Chaufferie di Strasburgo con gli studenti dell’Accademia d’Arte della città nel 2004, le personali al Musée d’Art Moderne et Contemporaine di Strasburgo nel 2007 e al Museo Cantonale d’Arte di Lugano nel 2008, i molti inviti ad esporre presso gli Istituti Italiani di Cultura all’Estero, ed in generale le numerosissime personali e collettive che lo vedono protagonista ininterrottamente presso spazi pubblici e privati, tutto questo costituisce segnale attendibile della costante attenzione da parte della critica e del pubblico all’attività di uno dei maggiori esponenti delle avanguardie contemporanee che è riuscito a rimanere coerente nella sperimentazione, consolidando la personale pratica artistica all’interno di una parallela produzione teorica. Ulteriori cicli come quello del Codice a barre, del Sogno o Palestra notturna, dell’Esperienza del buio riconducono alla matrice concettuale dell’Esposizione in tempo reale e altresì restituiscono la complessità di una vicenda artistica che spesso è considerata, esclusivamente e riduttivamente, nella prospettiva dell’impiego dello strumento fotografico, dimenticando così che Franco Vaccari – per il quale il binomio arte e scienza rappresenta un fattore determinante nelle sue ricerche e allo stesso tempo la struttura interpretativa della sua produzione – sperimenta e indaga la portata di numerosi mezzi di comunicazione così come di tecniche, valorizzandone le possibilità di interazione. Basta dare una scorsa alla sua filmografia o ancora, uno per tutti, al più recente progetto web (poi tradotto su cd-rom) Artist’s Atelier del 1996, presentato alla Casa del Giorgione di Castelfranco Veneto. Tra i progetti espositivi ed editoriali che hanno contribuito a ordinarne e storicizzarne la produzione e la letteratura critica di riferimento si ricordano le rassegne: Franco Vaccari. Photomatic e altre storie 2006, allo Spazio Belvedere Fotografia di Milano, Franco Vaccari. Col tempo 2007 allo Spazio Oberdan, a Milano, Franco Vaccari. Opere 1955-1975 che gli dedica la sua città nel 2007 con sede espositiva al Fotomuseo Panini e alla Palazzina dei Giardini.