Francesco Faraci
Anima Nomade
Mimesis

di Rosamaria Brunno
26 Novembre 202453

La vita è viaggio, è transito, e ciascuno lo compie a suo modo, perché il proprio processo di ricerca e crescita maieutica è innanzitutto un peregrinare solitario, uno scavo faticoso, un discernimento guidato dalla luce o dalla sua assenza. Faraci ha camminato a lungo per le strade della sua isola, quella Sicilia tanto affascinante quanto piagata da contraddizioni, che ci ha già raccontato anche nel suo primo romanzo Nella pelle sbagliatae poi in Malacarne e in Atlante Umano Siciliano.

Ha scelto di narrare storie fatte di sogni e sconfitte, vita e morte, viaggi e speranze, alterità e autenticità e con Anima nomade ha continuato a rivelarci una dettagliata geografia dell’anima. Stavolta lo ha fatto regalandoci un racconto intimo, in cui accosta un testo di delicata e penetrante poeticità alle sue già pregnanti foto.

Faraci è stato un “ragazzo di vita” ma, proprio perché sa quanto può essere difficile il riscatto di chi nasce in un ambiente pieno di falle e di insidie, non l’ha mai dimenticato. Anche per questo ha fatto del neorealismo di Pasolini la sua bibbia, lo strumento con cui meditare lucide e spietate considerazioni sulla società perbenista, la stessa che costruisce pregiudizi e maschere. Consequenziale, pertanto, è stata la scelta di immergersi profondamente in una realtà flagellata, ossia i quartieri più poveri e degradati di Palermo. Qui ha incontrato, ricordato e raccontato una rassegnazione disarmante, un’umanità potente perché genuina, una purezza primigenia. È entrato nei vicoli e nelle case di immobili viandanti e ne ha raccontato il loro epos, ora rimanendo in punta di piedi ora dialogando con le persone e i luoghi da cui si è lasciato attraversare con abbandono.

Palermo, crogiolo di civiltà, di contraddizioni, di alterità, di spazi, colori e odori ha una sua tragica bellezza, che per essere raccontata richiede l’attraversamento di un tempo obliquo tra i meandri dei suoi quartieri, dove scoprire che amare e odiare sono due facce della stessa medaglia, come l’anima e il corpo, il tempo e lo spazio. Faraci ha saputo documentarne la loro sacralità, la cui scoperta, però, richiede anche una “propensione al sogno”, con cui imparare a “sentire” la mimica dei volti e del corpo, il silenzio dei luoghi e delle anime, la resistenza alla vita. Sempre in bilico tra la possibilità di risorgere e il rischio di essere fagocitati, i soggetti ritratti hanno spesso un comune denominatore: occhi come faville ardenti sotto la cenere, che può sia soffocare sia rendere più fertili e puri.

Due sono i fedeli compagni dei siciliani: la luce e il mare. La prima si fa archetipo, quale inizio e fine di tutto ciò che ha forma e sostanza. Come in una tragedia greca, invece, il capo coro è il mare; è lui che, interpellando, accompagna lo sguardo oltre confine.

Essere isolani nel Mediterraneo è vivere la dicotomia della bellezza e della sua tragedia senza catarsi. È vivere in un presente che sembra refrattario al futuro, è vivere di passioni effimere, immersi nella rassegnazione condita da qualche sprazzo di speranza. La fotografia povera lo sa bene, essa si nutre dell’essenziale, va al cuore di ogni microcosmo e anela alla ricerca di un nuovo inizio. Essa è, dunque, un’attitudine, procede per cerchi concentrici e indossa l’abito del battesimo.

 

Editore: Mimesis (Milano) – Anno: 2022 – Pagine: 112 – Dimensioni: 13x20x1 cm – Rilegatura: Brossura – Testi: Francesco Faraci e Franco Arminio – Collana: Sguardi e Visioni – ISBN: 978-88-57588995