Fino al 4 Maggio 2025, presso la Galleria Harry Bertoia di Pordenone, sarà visitabile la mostra Gli Italiani di Bruno Barbey, curata da Caroline Thiénot-Barbey e Marco Minuz.
L’esposizione, realizzata con sostegno di Magnum Photos, Académie des Beaux-Arts di Parisi e dell’Archivio Bruno Barbey, gode del patrocinio del Consolato di Francia e dell’Istituto Francese di Cultura di Milano.
Il lavoro proposto dal fotografo franco-marocchino fu selezionato da Robert Delpire, celebre editore parigino, che volle pubblicarlo all’interno della collana Essential Encyclopedia, una raccolta di libri che comprendeva già The Americans di Robert Frank (1958) e Germans di René Burri (1962).
Le circostanze dell’epoca impedirono la realizzazione del libro, ma il portfolio di fotografie italiane convinse i membri dell’agenzia Magnum Photos delle potenzialità del giovane Barbey, che fu subito accettato nella cooperativa. Dopo decenni di lavoro e numerosi volumi su altri paesi, Barbey pubblicò una prima versione di quest’opera nel 2002, con un’introduzione di Tahar Ben Jelloun. L’idea, alla base di questo progetto, era di “catturare lo spirito di una nazione attraverso le immagini” e creare un ritratto dei suoi abitanti.
All’alba degli anni Sessanta, i traumi della guerra cominciavano a svanire mentre albeggiava il sogno di una nuova Italia che cominciava a credere nel “miracolo economico”. Bruno Barbey è uno dei primi a registrare questo momento storico di transizione. «Disegnare il ritratto degli italiani attraverso le immagini era quindi l’ambizione di questo progetto», aveva affermato lo stesso fotografo. Da Nord a Sud, da Est a Ovest, fotografa tutte le classi sociali: ragazzi, aristocratici, suore, mendicanti, prostitute. Il suo lo sguardo lucido e sempre benevolo coglie una realtà in movimento e rivela gli italiani.
Les Italiens è una suggestiva raccolta della moderna comédie humaine, tra mendicanti, sacerdoti, suore, carabinieri, prostitute e mafiosi; figure archetipiche il cui fascino esotico ha contribuito a rendere così popolari i film di Pasolini, Visconti e Fellini in un immaginario internazionale. L’Italia che “alza la testa” dopo gli orrori e le miserie generati dalla guerra. La classe media, dopo tante sofferenze, ha conosciuto il boom economico, un entusiasmo forse illusorio, una nuova società forse troppo all’americana per certi versi. La musica, la moda, la gioventù con i suoi riti e con le sue mode; la gente cominciava ad esprimere il proprio status in maniera marcata con qualche soldo in più nelle tasche.
Eppure, in questo contesto, c’erano ancora sacche di estrema povertà, soprattutto nel centro-sud del paese. L’Italia era una terra di aspri contrasti e questo ci viene raccontato in modo affascinante con un filo nostalgico da Barbey, che offre ai nostri occhi questo straordinario affresco dell’Italia di quel tempo.
Sono stati tanti i fotografi di altri paesi che hanno documentato l’Italia e gli italiani: da Henri Cartier-Bresson a William Klein, ma il reportage di Bruno Barbey è un fulgido esempio di come un fotografo capace di immergersi in un lavoro documentario, possa riuscire ad individuare certe sfumature in modo straordinario.
Bruno Barbey (Rabat 1941 – Orbais l’Abbaye 2020)
È stato un fotografo francese di origine marocchina, figlio di un diplomatico. Nel corso della sua carriera, lunga quattro decenni, ha viaggiato attraverso cinque continenti, fotografando numerose guerre. A cavallo tra gli anni Cinquanta ed i Sessanta ha studiato fotografia e arti grafiche presso l’Ecole des Arts et Métiers di Vevey, in Svizzera. Negli anni Sessanta la casa editrice Rencontre di Losanna gli commissionò di fotografare i paesi europei e africani. Nel 1964 Barbey iniziò una collaborazione con la Magnum Photos, diventando membro associato nel 1966 e membro effettivo nel 1968, periodo in cui fotografava le rivolte studentesche a Parigi. Successivamente è stato vicepresidente della Magnum per l’Europa nel 1978 e nel 1979 e presidente della Magnum International dal 1992 al 1995. Pur avendo seguito le guerre civili in Nigeria, Vietnam, Medio Oriente, Cambogia, Irlanda del Nord, Iraq, Kuwait e la guerra di liberazione in Bangladesh, rifiutò l’etichetta di “fotografo di guerra”, sebbene divenne famoso per aver fotografato i conflitti e per aver creato immagini insolite e bellissime.