Anselm Kiefer
Palazzo Strozzi – Firenze
Fino al 21 Luglio 2024

di Enzo Gabriele Leanza
12 Luglio 2024182

Chiude i battenti il prossimo 21 Luglio la sontuosa mostra Angeli caduti di Anselm Kiefer in quel di Palazzo Strozzi a Firenze, curata da Arturo Galansino. Una retrospettiva dedicata al grande maestro tedesco focalizzata principalmente sulla sua attività pittorica, ma non solo, perché un artista poliedrico come Kiefer non manca di coinvolgere e stupire il pubblico anche con le sue sculture e con le sue fotografie.

Dato il nostro specifico interesse in campo fotografico a questa piccola sezione della mostra dedichiamo un riferimento. Quelle che vengono esposte sono quattro fotografie, stampate – alla maniera di Kiefer – in grandi dimensioni e applicate su altrettanto grandi lastre di piombo (materiale molto spesso usato dall’artista tedesco).

Si tratta di un estratto dalla serie Besetzungen, in italiano “occupazioni”, una raccolta di fotografie, realizzate tra il 1969 e l’inizio degli anni Settanta, in cui l’artista, all’epoca ancora uno studente, si autoritrae vestito con l’uniforme da ufficiale della Werhmacht del padre, inserendo la sua “austera” figura su sfondi paesaggistici o monumentali nell’atto di eseguire il saluto romano – il tristemente celebre Sieg Heil, gesto evocativo di una delle pagine più buie dell’umanità – con il braccio alzato, in maniera ironica, in modo meno marziale rispetto all’originale. L’ironia e il tentativo demistificatorio di questa sua performance – cui la fotografia dona non solo una registrazione, ma anche una possibile continuità – sono denunciati già nel titolo di questo gruppo di immagini, Heroische Sinnbinder, “gesti eroici” che di eroico non hanno proprio nulla.

Per ambientare i suoi gesti Kiefer non sceglie luoghi casuali, l’artista si sposta infatti tra le due Germanie divise dal muro e si colloca in posti che per lui hanno un significato determinante sia dal punto di vista mitologico che storico. Non mancano nemmeno sconfinamenti in altre nazioni collegate alle tristi vicende cui fa riferimento.

La sua però non è una performance di carattere storico, o almeno non solo, ma una riflessione provocatoria  sull’essere tedeschi e sulla necessità di fare i conti con la memoria e il passato, in una Germania che ha preferito cancellare di netto, anche per legge, questa triste eredità come se nulla fosse.

Kiefer riflette invece su quella che Hannah Arendt definì la “banalità del male”; proprio quel male che in quegli anni di regime non appartenne solamente ai gerarchi di alto rango, ma che ebbe un’importante penetrazione, fosse solo per il silenzio e l’indifferenza per certi orrori, nella società tedesca di allora.

Gli stessi genitori di Kiefer seguivano l’ideologia nazista, una partecipazione di cui l’artista, nato nel 1945, non ha avuto esperienza diretta, ma che ha percepito con la maturità acquisita nel periodo post-bellico, momento in cui la Germania non fu divisa in due solamente dal punto di vista geo-politico, ma anche nel modo di fare i conti con il passato, tra chi voleva mettere a tacere quello che è stato l’orrore degli anni precedenti e chi voleva far i conti, una volta per tutte, con quella triste eredità per non ripetere gli stessi errori nel futuro.

Nemmeno l’accoglienza del lavoro di Kiefer, come è logico attendersi da un tema così controverso, fu unanime, divisa anch’essa tra chi gli riconosceva il coraggio della responsabilità di essere tedesco (compreso il suo maestro Joseph Beuys) e di portare nel sangue un legame di parentela con personaggi che hanno contribuito alle atrocità e ai delitti verso l’umanità e chi invece gli attribuiva, con una certa superficialità, una nostalgia revanscista.

Kiefer invece ha voluto utilizzare, replicandolo attraverso l’uso della fotografia, un gesto caratteristico del regime nazista con l’intenzione di affrontare, con l’evidente volontà provocatoria tipica dell’artista, la storia recente del suo popolo.

Ⓒ  Photo – Ela Bialkowska, OKNO Studio