Il 2025 è l’anno del centenario della nascita di Mario Giacomelli e la sua Senigallia ne celebra l’opera e la figura di uomo e artistica con la mostra La Camera Oscura di Giacomelli, esposta a Palazzo del Duca fino al 6 Aprile.
L’esposizione rappresenta un grande omaggio alla figura di uno dei più importanti fotografi italiani del Novecento, un maestro che ha saputo trasformare la realtà in visioni straordinarie attraverso un linguaggio unico e profondamente personale.
La mostra offre un’immersione nell’immaginario e nella tecnica di Giacomelli e il percorso espositivo si apre con un’installazione multimediale dal titolo Sotto la pelle del reale, che riproduce il flusso creativo dell’artista. I visitatori vengono guidati dalla sua stessa voce, tratta da un’intervista per Radio 3 Suite del 2000, mentre immagini in movimento e frammenti scritti di pensieri si alternano, evocando la sua visione profonda e poetica della fotografia come mezzo per esplorare la realtà e l’interiorità: qui, le immagini, nelle loro metamorfosi, seguono gli stessi moti delle impennate verticali e le cadute nel vuoto con cui Giacomelli rincorreva l’Infinito e ne imitano la gestualità in camera oscura, all’ingranditore, con la carta sensibile tenuta obliqua per immergere il mondo nella vertigine.
Fulcro della mostra è proprio la camera oscura, il luogo dove Giacomelli dava forma al suo immaginario trasformando la materia in visioni potenti e universali. Oltre alle opere esposte si trovano attrezzature originali, come la sua macchina fotografica Kobell, e oggetti di scena utilizzati per i suoi scatti. Accanto a questi, provini di stampa, appunti manoscritti e interviste documentano il processo creativo dell’artista, mostrando la sua incessante sperimentazione e la continua trasformazione del reale.
L’esposizione raccoglie circa cento fotografie originali, che attraversano tutta la produzione di Giacomelli, dagli anni Cinquanta fino al 2000, anno della sua morte. Attraverso una narrazione che intreccia temi chiave della poetica giacomelliana, il percorso espositivo – suddiviso in otto sale tematiche – rappresenta il mondo interiore di Mario Giacomelli, l’emersione di un mondo profondo e ancestrale che si manifesta in un continuo flusso di immagini come parole di un lungo discorso. Un racconto che, pur partendo da vicissitudini autobiografiche, parla con la voce antica e infinita dell’umanità. Nelle sue opere, paesaggi antropomorfizzati diventano ritratti umani, intrecciando memoria e materia in un dialogo continuo. La figura materna, evocata attraverso elementi simbolici, emerge come presenza costante e fondativa della sua visione artistica. La luce, elemento essenziale del suo lavoro, interrompe l’oscurità per illuminare piccoli e preziosi frammenti di realtà, offrendo una visione che oscilla tra l’immenso e l’intimo, tra il concreto e il metaforico.
Mario Giacomelli (Senigallia 1925)
Dal 1950 sarà titolare della Tipografia Marchigiana, luogo di pellegrinaggio di tanti storici e critici della fotografia o di semplici appassionati. Iniziò a fotografare nel 1953 sotto la guida di Giuseppe Cavalli, fondatore del gruppo La Bussola e assertore della fotografia come racconto e come arte, che riconosce in Giacomelli un piglio forte e innovativo tale da lasciare un segno nella storia della fotografia. Sin dagli esordi, anarchico creatore di un linguaggio tutto suo fatto di contrasti e stonature, specchio della sua interiorità, Giacomelli apparve sconvolgente nel suo sguardo sul paesaggio e sui temi delicati dell’umanità, tanto che Paolo Monti nel 1955 lo definisce “l’uomo nuovo della fotografia”, il suo “realismo magico” supera la visione neorealista in cui la fotografia italiana si era arenata, arricchendola di un espressionismo intimo e verace, materico. Seguito e spronato dalla critica, largamente presente nelle riviste specializzate, divenne presto un punto di riferimento per i fotografi italiani degli anni Sessanta e ancora oggi fonte d’ispirazione per i fotografi di tutto il mondo. Nel 1964, fu l’unico italiano selezionato per The photographer’s eye, la mostra curata da John Szarkowski per il MoMA di New York. Nel 1965 Giacomelli invia l’intera serie A Silviaall’altrettanto prestigiosa George Eastman House di Rochester, dove espone in una personale antologica del 1968, presentata l’anno successivo in varie città degli Stati Uniti. Saranno quelle le prime tappe di un’ascesa inarrestabile, mentre i maggiori musei del mondo includono opere di Mario Giacomelli nelle loro collezioni permanenti. Nel 1978 viene invitato a esporre sue opere fotografiche di paesaggio alla Biennale di Venezia Dalla natura all’arte, dall’arte alla natura. La definitiva consacrazione di Giacomelli in Italia arrivò nel 1980, quando lo CSAC di Parma gli dedica una retrospettiva. Attivo fino alla fine, senza mai smettere di sperimentare la fotografia, si spegne nel 2000.