La parola “Nomadelfia” è un neologismo di origine greca, nato nel 1948 dalla crasi dei termini nomos (legge) e adelphia (fraternità), col quale si indica una comunità nata nel 1941 presso una frazione del comune di Mirandola e per vocazione di Don Zeno Saltini. La sua prima finalità fu quella di dare una famiglia a bambini orfani o bisognosi. Nel corso del secondo conflitto mondiale continuò a svolgere la sua attività di accoglienza e si distinse per l’aiuto a perseguitati politici ed ebrei. In seguito la comunità si sposterà presso l’ex campo di concentramento di Fossoli, per poi trovare una collocazione alla periferia di Grosseto negli anni Sessanta, grazie a una generosa donazione della famiglia Pirelli.
Tale introduzione era necessaria per rivelare che il libro fotografico di Enrico Genovesi è un’operazione documentaria della vita di questa comunità, che ancora oggi sceglie di vivere nella “legge di fraternità”, quella che impone di farsi carico di chi ha bisogno di un aiuto materiale ed educativo. Quella di Nomadelfia, pertanto, si potrebbe considerare un’utopia contemporanea, però sappiamo bene che è una realtà condivisa da oltre trecento persone e che non è l’unica esperienza di matrice cristiana che si fonda sul vivere i valori del Vangelo fino alla scelta della comunione dei beni. Genovesi, che della fotografia sociale ha sempre fatto una scelta professionale, ha frequentato per quattro anni i membri della comunità, cercando di penetrare il senso delle loro scelte con un atteggiamento di totale apertura, così da raccontarle ora come narratore esterno ora come narratore interno, con un linguaggio spesso intriso di delicato lirismo. A Nomadelfia ha conosciuto alcune “madri per vocazione”, vissuto intensi momenti con i gruppi di famiglie (quattro o cinque famiglie che condividono ampi e semplici spazi comuni per la vita diurna), li ha osservati nella quotidianità del lavoro, della convivialità, dello studio progettato attorno ai bambini, della preghiera, dello svago e degli spettacoli gratuiti con cui, nei mesi estivi, i membri di Nomadelfia si fanno testimoni del loro messaggio di fraternità. Non ha mai avuto dubbi sulla scelta di raccontare le loro vite in bianconero, quasi a creare un’atmosfera atemporale, ma soprattutto per sottolineare i toni di una narrazione sobria, essenziale che fosse priva del superfluo, esattamente come le vite, gli spazi e i momenti descritti e narrati.
Non è la prima volta che un fotografo cerca di raccontare questa comunità. In passato autori come Patellani, Lotti, De Biasi, Mulas vollero incontrarla insieme al suo fondatore. Anche Beppe Lopetrone, fotografo cresciuto proprio in questa realtà, ce ne ha lasciato la sua visione, ma quella di Genovesi ha un rigore compositivo che per il momento ne fa un unicum.
La realtà di Nomadelfia è ardua da comprendere, anche per chi ha fatto della meditazione del messaggio evangelico un importante tassello della propria vita. E proprio perché è una realtà straniante, merita di essere conosciuta, non con pregiudizio ma interrogandosi sulla profondità etica della sua esistenza, così come ha fatto anche il poeta Franco Arminio, che a conclusione del libro scrive: “Forse c’è un centro del respiro / di cui ognuno di noi / è la periferia… ognuno di noi / è una diceria del divino”.
Editore: Crowdbooks – Anno: 2021 – Pagine: 176 – Dimensioni: 21×27,5x2cm – Rilegatura: Cartonata – Testi: Franco Arminio, Giovanna Calvenzi e Sergio Manghi – ISBN: 978-88-8560-856-6