Mohammed Salem
“Khan Younis – Gaza Strip”
2023

di Enzo Gabriele Leanza
2 Novembre 2024199

© Mohammed Salem

 

Ci sono fotografie che mi fanno ripensare a quanto scritto tanti anni fa da Susan Sontag. La scrittrice americana, nel suo famosissimo saggio On Photography,  sosteneva che la visione ripetuta di immagini traumatiche finisse col provocare un effetto di paralisi nell’osservatore, anestetizzando la sua coscienza, processo che in qualche modo ci abituerebbe alla convivenza col “male”.

La sua affermazione mi sembra solo in parte condivisibile, perché ci sono delle fotografie che ci toccano a un livello talmente profondo da destare eccome le nostre coscienze. È ovvio che il processo non si attiva in ogni essere umano allo stesso modo, variando a seconda della sensibilità di ognuno.

Da anni sentiamo parlare distrattamente di guerra durante la nostra quotidiana visione/ascolto del telegiornale all’ora di cena. Russia, Ucraina, Israele, Palestina sono i più recenti casi di Stati tristemente noti per fatti di cronaca militare che ormai non seguiamo quasi più, essendosi trasformate queste storie, e qui la Sontag ha ragione, in rumore di fondo.

Però a volte, in questo mare di indifferenza, si accende una luce e alle narrazioni sbiadite si sovrappone una singola icastica immagine. È questo il caso della fotografia di Mohammed Salem che di recente ha vinto il World Press Photo of the Year.

La scena mostrata dal fotografo palestinese è semplice, priva di fronzoli e povera d’azione, ma capace di condensare, nel singolo scatto, il dramma di un popolo, divenendo la perfetta sintesi delle conseguenze terribili di una guerra.

Dobbiamo però ricordarci che nessuna immagine comunica pienamente sé stessa senza la sua collocazione nel suo contesto di produzione, soprattutto se ci riferiamo a immagini giornalistiche, per le quali è obbligatorio il loro inquadramento storico e geo-politico.

È quindi necessario sapere, per leggere al meglio l’immagine che abbiamo davanti, che questo scatto mostra una giovane donna, Inas Abu Maamar, che abbraccia per l’ultima volta il corpo di sua nipote Saly, di soli cinque anni, uccisa, insieme alla madre e alla sorella, da un missile israeliano che ha colpito la loro casa a Khan Younis nella Striscia di Gaza, zona che, dai primi proclami del governo israeliano, doveva essere un’area sicura in cui rifugiarsi e verso cui sono stati spinti molti profughi, ma che poi è stata pesantemente bombardata, così come tutto il territorio della Striscia, dando inizio a un vero e proprio genocidio.

È lo stesso fotografo a descrivere quest’immagine come un “momento potente e triste che riassume il senso più ampio di ciò che stava accadendo nella Striscia di Gaza”. L’immagine è stata realizzata all’obitorio dell’Ospedale Nasser dove molti uomini e donne palestinesi si recavano, e purtroppo continuano a farlo, alla ricerca dei corpi di parenti uccisi dalla furia militare israeliana. In uno di quei corridoi il fotografo ha incrociato Inas accovacciata a terra, che abbracciava la nipote avvolta, come un triste fagotto, in un candido lenzuolo. Non si vedono volti, non si vedono lacrime, non si vede sangue, ma la forza dell’immagine è prepotente. Gli elementi messi in scena sono pochi, ma più che sufficienti a dire, se non tutto, sicuramente tanto del dramma in atto.

Può un singolo scatto, seppur premiato, cambiare le sorti di un conflitto? Purtroppo no! Ma può svegliare quelle coscienze che dormono sonni tranquilli ad altre latitudini.

 

 

 

Mohammed Salem (Gaza 1985)

È un fotoreporter palestinese residente nella Striscia di Gaza. Salem ha conseguito una laurea in Media presso la Gaza University e lavora con l’agenzia Reuters dal 2003. Sebbene il suo obiettivo principale sia documentare il conflitto tra palestinesi e israeliani, ha anche coperto vari eventi di cronaca internazionale. Negli anni Salem ha vinto, oltre al World Press Photo of the Year 2024, anche il China International Press Photo Contest del 2004 e il Pictures of the Year International (POYI) due volte, nel 2018 e nel 2023. Salem ha anche ricevuto un Dubai Press Club Media Award, un premio assegnato a un giovane fotografo arabo.