Patrizia Galia
Palazzo dei Mercedari – Modica
Fino al 6 Ottobre 2024

di Marcella Burberi
24 Settembre 2024103
Screenshot

 © Patrizia Galia

 

In mostra fino al 6 Ottobre, presso Palazzo dei Mercedari a Modica nell’ambito delle attività espositive del Premio Luce Iblea 2024, la personale fotografica Nel nome del Padre di Patrizia Galia.

Accuminzamu ri capu e ri luni, chisti su ghiorna biniritti e santi. La storia si ripete. La comunità intenta ai preparativi della settimana pi. intensa dell’anno si stringe attorno all’evento che ancora sorprende. Inizia la Settimana Santa. Un’altra volta. La comunità diventa un corpo solo, lancia un solo grido di dolore che risuona nelle note delle bande musicali mentre accompagnano le processioni della penitenza o in quelle della resurrezione. Se lo racconta nella magnificenza dei pani che addobbano tavole e persino intere città, se lo racconta nei profumi dei fiori, u balicu; dei frutti, le arance, e degli arbusti segno di vita: l’olivo, la palma, l’alloro. Se lo racconta negli andamenti dolorosi del lutto, le annacate, in cui anche il corpo partecipa del dolore dell’intelletto. Si vestono di nero gli uomini del lutto. Si vestono di nero le donne del pianto. Anche i bambini sono chiamati a far parte del racconto in una adunanza silenziosa e rispettosa. Tutti. Senza distinzione alcuna. Chi crede condivide. Chi condivide si identifica. Chi si identifica partecipa. Anche i bambini, sì. I bambini di Patrizia sono voce narrante di un percorso a doppio senso tra la fotografa e i suoi protagonisti. Un’intesa che passa per uno scatto ma diventa subito dialogo. Un reciproco scambio senza mediazione, come sanno fare i bambini, i quali non si sottraggono ma restituiscono l’intesa senza filtri come un’immagine sa essere. Bambini colti durante un’azione in un contesto di adulti, che potremmo definire “serio”, da “grandi” ma attraverso loro si compie quanto la tradizione delle grandi feste popolari sottolinea: le feste, sia quelle dai grandi richiami che le minori, altro non sono se non occasione per rinsaldare rapporti, diventano mezzo di coesione e di conferma di quei legami che poi diventano identità collettiva.

Per questa strada le feste popolari sono riti collettivi alla base di ogni comunità. I bambini con la loro stanchezza, con la loro fatica, con la loro voglia di giocare, attraverso la partecipazione al rito collettivo imparano a far parte di quel gioco da grandi e ne apprendono le regole, i confini e rimangono testimoni preziosi. Cos. diventano cassa di risonanza e perpetuano un linguaggio, fatto di gesti e di percorsi sempre uguali in cui la comunità non solo si rinsalda ma si riconosce.

Con Patrizia Galia, con i suoi scatti, partecipiamo noi tutti a questo dialogo perché siamo stati tutti bambini in processione o abbiamo assistito allo sfilare di lunghe processioni ed abbiamo imparato anche cos. a far parte di questo nostro mondo di ali e di coroncine, di abitini e di sonno da morire. Giocando anche noi abbiamo imparato la storia della nostra terra e ce ne siamo imbevuti a tal punto da farne parte per sempre, anche da lontano, anche nel rifiuto, anche nel rigetto. Abbiamo appreso una lingua che se vogliamo possiamo parlare ancora poiché i riti e le tradizioni di cui siamo fatti sono per sempre alla base della nostra educazione. Ecco Patrizia Galia coglie il senso profondo di questa nostra comunità e lo restituisce attraverso il suo delicatissimo bianco e nero di trasparenze.

 

 

 

Patrizia Galia (Erice 1967)

Si appassiona al disegno e alla pittura fin da piccola, alimentando la sua necessità di replicare la realtà intorno, ma ciò che diverrà la sua passione più grande è la fotografia, di cui sperimenta le potenzialità attraverso la fotocamera del padre. Negli anni ha arricchito la sua formazione frequentando corsi con Letizia Battaglia, Dario De Dominicis, Tony Gentile, Stefano Mirabella, Fabio Moscatelli e Angelo Turetta. Dopo gli studi inizia a lavorare per un’azienda di telecomunicazioni, senza mai smettere di fotografare una realtà che è quella a cui appartiene. Da sempre si è dedicata a raccontare la cultura e le tradizioni della sua terra, a cominciare dalla sacralità delle processioni religiose, ponendo l’accento sui rituali e sugli aspetti umani. Da circa 20 anni con il progetto Salanitro documenta il lavoro dei salinari all’interno della Riserva delle Saline di Trapani, testimoniando il cambiamento di un’attività secolare. Sue immagini sono apparse su L’oeil de la Photographie, Witness Journal, Italy Photo Award, Fotografia.it, ArtAbout Magazine, 101 ZONE, PhotoVogue, ICONIC Artist Magazine e Photoimaginart Clichè.